Filippo Puglia
IL DECADENTISMO TRA TECNOLOGIA E SAPERE
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ABITARE I LUOGHI
Nei tempi antichi, i nostri antenati studiavano la natura ed i paesaggi per meglio rapportare le loro costruzioni e trasformarli in luoghi abitabili. Erano sempre alla costante ricerca di sistemi costruttivi e di tipologie abitative che rispettassero il paesaggio e che potevano trasformarlo in luogo con un’identità ed un carattere che lo potesse contraddistinguere. Amavano la natura e trasformavano il territorio in modo da renderlo abitabile a misura d’uomo. Il loro modo o sistema di costruire aveva un senso, unito al gusto, erano sempre alla ricerca del bello. Come diceva Platone nella sua teoria delle idee: “il bello è bello se partecipa all’idea di bellezza”.
Successivamente, e già parliamo dell’Ottocento, gli architetti studiavano gli antichi siti, soprattutto quelli greci e romani, per poter formare in loro stessi una cultura abitativa e del costruire in rispetto della natura.
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Oggi, invece, facciamo tutto al contrario di tutto, nel senso che l’unica cosa che conta è il denaro e con esso la speculazione. Non si costruisce più nel rispetto della natura, anche se qualcosa sembra stia cambiando, e neanche nel rispetto del modo di vivere dell’uomo. Oggi, abbiamo unità abitative standard, dove l’uomo deve adattarsi facendo sì che questo influisca nella psiche dell’uomo stesso, rendendolo irritante ed arrogante. Costruzioni che trasformano il paesaggio distruggendolo e rendendolo anonimo.
Le macchine e la tecnologia dovevano essere dei mezzi al servizio dell’uomo e della natura, invece, rappresentano dei mezzi di distruzione e di complicazione della vita quotidiana.
Gli antichi romani, nella loro religione avevano come oggetto di culto il Genius Loci, ossia un’entità naturale e soprannaturale legata ad un luogo. L’associazione tra genio e luogo fisico venne, forse, originata dall’assimilazione del genio con i Lari. Infatti, secondo Servio, “nullus locus sine”, ossia “nessun luogo è senza genio”. Mentre, secondo il movimento tradizionale romano, il Genius loci non va confuso con il Lare, perché quest’ultimo è il genio del luogo posseduto dall’uomo e che l’uomo attraversa, quindi, in netto contrasto e diverso dal Genius Loci, che rappresenta il genio del luogo abitato e frequentato dall’uomo.
Christian Norberg Schulz, scrisse un saggio con lo scopo di ovviare a una lacuna fino ad allora presente, ma anche oggi, ossia, creare una fenomenologia dell’architettura. Egli studia l’architettura e soprattutto il modo di inserirsi nel territorio e le modalità con le quali trasformarlo in luogo. Il luogo rappresenta il centro della sua riflessione, egli lo vede come un sito con una precisa identità, sempre riconoscibile, con caratteri che possano essere esterni o mutevoli. Fondamentale è anche la distinzione tra luogo naturale e luogo artificiale, distinti nelle categorie romantico, cosmico e classico.
Romantico è ciò che colpisce e spaventa, esprime le forze ctonie della natura e per questo motivo tocca gli aspetti più profondi della psiche umana.
Il paesaggio cosmico è vastissimo, lo sguardo si perde nell’orizzonte infinito e indistinto come quello del deserto.
Il paesaggio classico è tipicamente quello greco o italiano: vario, a misura d’uomo.
L’architettura deve rispettare il luogo, integrarsi con esso, ascoltare il suo genius loci. Schulz, tuttavia, non vuole un determinismo naturale, non sostiene che in un determinato luogo esiste una sola architettura possibile, tuttavia, l’architettura deve interpretare ed essere compatibile con il luogo.
Fare Architettura significa visualizzare il genius loci, infatti il compito dell’architetto è quello di creare luoghi significativi per aiutare l’uomo ad abitare.
Genius loci è un termine con il quale individuare l’insieme delle caratteristiche socioculturali, architettoniche, di linguaggio, di abitudini che caratterizzano un luogo, un ambiente, una città. Un termine che riguarda le caratteristiche proprie di un ambiente interconnesse con l’uomo e le abitudini con cui vive questo ambiente.
L’uomo si sente a casa quando si orienta e si identifica con l’ambiente. Abitare è qualcosa di più che sentirsi protetti. Implica che gli spazi dove si vive, sono luoghi nel vero senso della parola. Un luogo è uno spazio con un carattere, con dei segni che lo identificano.
I popoli antichi avevano ben chiaro i vari concetti di luogo, costruire, abitare, infatti, oggi possiamo ancora ammirare i segni del loro passaggio e identificare i vari luoghi con le popolazioni che lo hanno costruito e vissuto.
La fine del Novecento e l’inizio del terzo millennio ci porta ad essere un popolo senza identità, un popolo quasi anonimo, che sicuramente verrà ricordato per il caos, per la speculazione e per la disperata ricerca del denaro. Un popolo in piena crisi di identità oltre che socioeconomica e politica.
Oggi, all’alba del terzo millennio, urge prender coscienza della situazione, urge riprendere i rapporti con la natura, con il paesaggio, con i luoghi e soprattutto con noi stessi.
Non dobbiamo guardare ai costi, ma dobbiamo riflettere su noi stessi, sulle nostre abitudini. Dobbiamo riflettere sul paesaggio, sulla natura, saperli ascoltare. Dobbiamo ricercare e ritrovare il gusto, il bello. Infine, dobbiamo assemblare il tutto in un solo concetto che si chiama Architettura. Non solo il grande architetto deve fare architettura ma anche e soprattutto il piccolo architetto, quello sconosciuto che progetta e costruisce le piccole abitazioni, le piccole strutture, poiché anche questa è architettura ed è fondamentale per la nostra identità, quella di un popolo che lascia il segno del suo passaggio.